Ricorso ex art. 127 della  Costituzione  per  il  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   ex   lege,
dall'Avvocatura generale dello Stato, (codice  fiscale  80224030587),
per   il   ricevimento   degli   atti   FAX   06-96514000    e    PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), presso i  cui  uffici  in  Roma,
alla via dei Portoghesi, n. 12 domicilia; 
    Contro Regione Veneto,  per  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale della legge della Regione Veneto n. 23 del  23  giugno
2020 pubblicata nel BUR n. 94 del 26 giugno 2020  recante  «norme  in
materia di costruzione, esercizio e vigilanza  degli  sbarramenti  di
ritenuta  e  dei  bacini  di  accumulo  di   competenza   regionale»,
relativamente agli articoli 1, commi 1, 2 e 3, 2, 3, 4, 5, 9, 11, 12,
come da delibera del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020. 
    Il  Governo  ritiene  che  la  legge   regionale   in   epigrafe,
relativamente alle norme teste' richiamate  sia  censurabile  sicche'
propone questione di legittimita' costituzionale ai  sensi  dell'art.
127 della Costituzione per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    La legge regionale qui censurata si pone in aperto contrasto  con
disposizioni statali di principio che costituiscono norme  interposte
con riferimento ai principi fondamentali in materia  di  governo  del
territorio e protezione civile riservati alla competenza statuale  ex
art. 117,  II  comma  della  Costituzione,  nonche'  alla  competenza
esclusiva dello Stato in  materia  di  ordinamento  penale  e  tutela
dell'ambiente e del paesaggio di cui all'art. 117, II comma,  lettere
l) e s) della Costituzione. 
    Le norme regionali contestate con il presente ricorso  presentano
taluni aspetti di  contrasto  con  il  principio  di  buon  andamento
dell'azione amministrativa e di cui all'art. 97 della Costituzione. 
    In particolare: 
        1) Aspetti di illegittimita' presentano l'art. 1, comma 1,  e
l'art.  2.  Dette  disposizioni  nel   classificare   le   opere   di
sbarramento, pur richiamando i parametri definiti dalla legge statale
relativi all'altezza ed al volume di invaso, violano  il  riparto  di
competenza tra Stato e regioni. Rientrano  infatti  nella  competenza
statale sia gli sbarramenti che superano i 15 m di altezza sia quelli
che determinano un volume di invaso superiore a 1.000.000 metri cubi.
Sono quindi di competenza regionale quelli  che,  al  contrario,  non
hanno nessuna delle due caratteristiche che non superano i  15  m  di
altezza e non determinano un volume di invaso superiore  a  1.000.000
metri cubi. Pertanto, e' evidente che l'uso,  nella  norma  regionale
riguardante l'ambito di applicazione  delle  norme  regionali,  della
disgiuntiva «o» all'art. 1, comma 1 ultimo periodo,  e  della  doppia
congiunzione  «e/o»  dell'art.  2  della  legge  regionale  in  esame
sottraggono alla competenza dello  Stato  la  funzione  di  vigilanza
sugli sbarramenti che non superano i 15  metri  di  altezza,  ma  che
contemporaneamente determinano un volume di  invaso  superiore  a  un
1.000.000 di metri  cubi  e  sugli  sbarramenti  che  pur  di  invaso
inferiore a 1.000.000 metri cubi  hanno  un'altezza  superiore  a  15
metri. 
    Inoltre lo stesso art. 1, al comma 3,  esclude  dall'applicazione
della legge regionale le opere a servizio di grandi  derivazioni,  in
contrasto con  l'art.  1,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  507/94,
convertito con modificazioni con la legge n. 584/1994, e del  decreto
legislativo n. 112/1998, che distinguono le opere di  sbarramento  ai
fini della competenza solo in base a criteri dimensionali. La riserva
statale di alcune funzioni  in  materia  di  grandi  derivazioni  (in
particolare idroelettriche), inizialmente mantenuta  dalla  legge  n.
584/1994 per  gli  sbarramenti  «ove  posti  al  servizio  di  grandi
competenza statale», e' venuta meno ai sensi dell'art. 29,  comma  3,
del citato decreto legislativo n. 112/1998, e del  recepimento  della
direttiva 96/1992/CE. 
    L'esclusione operata all'art. 1, comma 3, lettera a) della  legge
in esame, crea dunque un vuoto normativo in materia di  vigilanza  su
una fattispecie di sbarramenti a servizio di  grandi  derivazioni  in
termini concessori ma realizzati tramite  dighe  con  caratteristiche
dimensionali ridotte. La violazione delle  citate  norme  statali  di
principio determina il contrasto con l'art. 117,  terzo  comma  della
Costituzione con riferimento al governo del territorio. 
        2) Anche il comma  2  dell'art.  1  della  legge  de  qua  e'
incostituzionale posto che le opere ivi  disciplinate  afferiscono  a
corsi d'acqua, sicche' la disposizione incide sulla tutela assicurata
a  detti  beni  dall'art.  142,  I  comma,  lettera  c)  del  decreto
legislativo n. 42/2004. 
    La  disposizione  in  esame   fa   esclusivo   riferimento   alla
compatibilita' delle opere con la disciplina urbanistica, senza alcun
cenno alla disciplina paesaggistica, alla quale le opere in questione
sono suscettibili di essere sottoposte, interferendo  necessariamente
con beni tutelati ope legis, oltre  che,  potenzialmente,  con  altri
beni o contesti vincolati ai sensi della parte III di detto codice. 
    Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del  Codice
dei beni culturali e del paesaggio delinea  un  sistema  organico  di
tutela  paesaggistica,  inserendo  i   tradizionali   strumenti   del
provvedimento   impositivo   del   vincolo   e    dell'autorizzazione
paesaggistica  nel  quadro  della  pianificazione  paesaggistica  del
territorio, che  deve  essere  elaborata  concordemente  da  Stato  e
regione. Tale pianificazione concordata prevede,  per  ciascuna  area
tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri  di  gestione
del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria)  e  stabilisce
la tipologia delle trasformazioni compatibili e  di  quelle  vietate,
nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    In  questo  quadro,  e'  alla  pianificazione  paesaggistica  che
spetta, ai sensi dell'art. 135, comma 4, del Codice  di  settore,  di
definire «apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare:
(...) h) alla riqualificazione delle aree compromesso o degradate; c)
alla salvaguardia delle caratteristiche  paesaggistiche  degli  altri
ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor  consumo  del
territorio. Coerentemente con queste previsioni, l'art. 143, comma  1
dello stesso Codice, nel  delineare  i  contenuti  propri  del  piano
paesaggistico, riserva al predetto strumento il compito di operare la
«analisi delle dinamiche di trasformazione  del  territorio  ai  fini
dell'individuazione dei  fattori  di  rischio  e  degli  elementi  di
vulnerabilita' del paesaggio nonche' comparazione con gli altri  atti
di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo»  (lettera
I), la  «individuazione  delle  misure  necessarie  per  il  corretto
inserimento,  nel  contesto  paesaggistico,   degli   interventi   di
trasformazione del territorio, al fine  di  realizzare  uno  sviluppo
sostenibile delle aree interessate» (lettera h),  la  «individuazione
dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di  qualita',  a  termini
dell'art. 135, comma 3» (lettera i). 
    Il mero richiamo alla sola disciplina urbanistica risulta  dunque
insufficiente, essendo indispensabile assicurare  il  rispetto  della
parte III del Codice dei beni culturali e del  paesaggio  di  cui  al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il  quale  impone  che  i
suddetti  interventi  siano  valutati  nel   necessario   quadro   di
disciplina costituito dal piano paesaggistico,  da  elaborare  previa
intesa con lo Stato, ai sensi degli  articoli  135,  143  e  145  del
Codice. La violazione di dette previsioni del Codice, che si  pongono
come norme interposte, comporta il contrasto con l'art. 117,  secondo
comma, lettera s) della Costituzione. 
        3) L'art. 3 rinvia alla giunta regionale  la  definizione  di
criteri e modalita' procedurali per il rilascio delle  autorizzazioni
stabilendo  che  «La   giunta   regionale,   entro   novanta   giorni
dall'entrata in vigore della presente legge,  sentita  la  competente
commissione  consiliare,  definisce  i   criteri   e   le   modalita'
procedurali  per  il  rilascio  dell'autorizzazione,  gli   elaborati
necessari per la progettazione nonche' le forme  e  le  tipologie  di
garanzia che il richiedente deve presentare a tutela  degli  obblighi
derivanti dalla presente legge e in particolare del ripristino  dello
stato dei luoghi, ai sensi dell'art.  9;  la  commissione  consiliare
competente in materia si esprime entro  quarantacinque  giorni  dalla
richiesta decorsi i quali si puo' prescindere  da  parere».  Tuttavia
l'art.  2  del  decreto-legge  n.  507  del  1994,   convertito   con
modificazioni  con  la  legge  n.  584/1994,   disciplina   in   modo
dettagliato il regolamento per  la  disciplina  del  procedimento  di
approvazione  dei  progetti  e  del  controllo  sulla  costruzione  e
l'esercizio  delle  dighe,  ed  il   comma   2-bis   della   medesima
disposizione  statale  stabilisce  che   le   regioni   adottino   un
regolamento per la disciplina del procedimento  di  approvazione  dei
progetti e del controllo sulla  costruzione  e  sull'esercizio  delle
dighe di loro competenza, disponendo quindi  un  preciso  riferimento
alle prescrizioni del predetto regolamento  statale  al  cui  modello
procedimentale le regioni devono attenersi. Detta norma statale,  che
costituisce  principio  fondamentale  in  materia  di   governo   del
territorio, risulta quindi violata in contrasto con l'art. 117, terzo
comma della Costituzione. 
        4) L'art. 4, inserito nel titolo  II  della  legge  regionale
riguardante la  progettazione  e  l'autorizzazione  delle  opere,  si
occupa della presentazione del progetto di  fattibilita'  tecnica  ed
economica con una disciplina procedimentale che risulta non  coerente
con le previsioni statali  in  materia  di  VIA  di  cui  al  decreto
legislativo n. 152 del 2006. 
    La  disciplina  del  procedimento  di  VIA/VAS  deve   intendersi
riservata allo  Stato  quale  titolare  della  competenza  a  fissare
livelli di tutela uniforme sull'intero  territorio  nazionale,  ferma
restando  la  competenza  delle  regioni  alla  cura   di   interessi
funzionalmente collegati con quelli  propriamente  ambientali  (cfr.,
sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244  del
2011, n. 225 e n. 164  del  2009  e  n.  437  del  2008  della  Corte
costituzionale). 
    E' notorio, d'altronde, che le norme attinenti alle verifiche  in
ambito VAS e VIA rientrano nella materia della tutela  dell'ambiente,
con conseguente idoneita' a fungere da parametro  interposto,  ovvero
da standard minimo o punto di equilibrio di certo non derogabile  dal
legislatore regionale. 
    La disciplina statale in materia «in  quanto  appunto  rientrante
principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque  in  una  materia
che, per la molteplicita'  dei  settori  di  intervento,  assume  una
struttura complessa, riveste un carattere  di  pervasivita'  rispetto
anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009), con la
conseguenza  che  la  disciplina  statale  «costituisce,   anche   in
attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e
si impone sull'intero  territorio  nazionale,  come  un  limite  alla
disciplina che le regioni e le province  autonome  dettano  in  altre
materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello
di tutela ambientale stabilito dallo  Stato,  ovvero  lo  peggiorino»
(sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008  e  n.  378
del 2007). La norma  regionale  in  esame  disciplina  sbarramenti  e
manufatti di qualsiasi tipo e forma in alveo  e  fuori  alveo,  anche
temporanei, che non superino i 15 metri di altezza o che  determinino
un volume di invaso non superiore a 1.000.000 di metri cubi. 
    Dal punto  di  vista  delle  valutazioni  ambientali  i  suddetti
progetti, in ragione della  loro  specificita'  tipologica,  ricadono
nell'ambito previsionale di cui alla lettera t),  dell'allegato  III,
alla parte II, del decreto legislativo 3  aprile  2006,  n.  152  che
prevede la sottoposizione a VIA di competenza regionale  di  progetti
concernenti «Dighe ed altri impianti destinati a trattenere, regolare
o accumulare le acque in modo durevole, ai fini  non  energetici,  di
altezza superiore a 10 m e/o di capacita' superiore a 100.000 m³, con
esclusione delle opere di confinamento fisico finalizzate alta  messa
in sicurezza dei siti inquinati.» 
    Qualora, invece,  si  tratti  di  dighe  ed  invasi  asserviti  a
centrali per la produzione dell'energia idroelettrica con potenza  di
concessione superiore a 30 MW, i suddetti progetti sono da  ritenersi
riconducibili nell'elencazione di cui al punto 2,  dell'allegato  II,
alla parte II, dell'anzidetto decreto legislativo  n.  152  del  2006
(«2)  Installazioni  relative   a:   centrali   per   la   produzione
dell'energia idroelettrica con potenza di concessione superiore a  30
MW incluse le dighe ed invasi direttamente asserviti.») e,  pertanto,
assoggettati a VIA di competenza statale. 
    Nel caso  in  cui  il  procedimento  di  VIA  sia  di  competenza
regionale si applica la disciplina di cui all'art. 27-bis del decreto
legislativo n.  152  del  2006  (provvedimento  autorizzatorio  unico
regionale) che non viene espressamente richiamato  all'art.  4  della
legge regionale in esame che, pertanto, non risulta coerente  con  la
citata norma nazionale. A tal riguardo occorre evidenziare che,  alla
luce  della  novella  recata  dalla  legge  n.  104  del   2017,   il
provvedimento di VIA non  puo'  piu'  essere  adottato  autonomamente
bensi' deve essere parte del piu' ampio «Provvedimento autorizzatorio
unico regionale» scaturente all'esito di una conferenza  di  servizi,
la cui determinazione motivata di  conclusione  comprende,  ai  sensi
dell'art. 27-bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'art.
14, comma 4, della legge n. 241/1990, sia il provvedimento di VIA che
i titoli abilitativi rilasciati per la  realizzazione  e  l'esercizio
del progetto, recandone l'indicazione esplicita. 
    Inoltre, all'art. 4, comma 1, della  legge  regionale  non  viene
prevista la verifica di assoggettabilita' a VIA del progetto ai sensi
dell'art. 19 del decreto legislativo n. 152 del 2006, pur trattandosi
anche di istanze relative non solo a  nuove  derivazioni  d'acqua  ma
anche a modifiche di queste. 
    Alla  luce  di  quanto  sopra,   fa   disciplina   procedimentale
introdotta dall'art. 4 della legge  regionale  e'  da  ritenersi  non
coerente con le previsioni statali  in  materia  di  VIA  di  cui  al
decreto  legislativo  n.  152  del   2006   dianzi   richiamate   che
rappresentano, «anche in attuazione  degli  obblighi  comunitari,  un
livello di protezione uniforme che si impone  sull'intero  territorio
nazionale, pur nella  concorrenza  di  altre  materie  di  competenza
regionale» (sentenze  n.  93  del  2019  e  n.  198  del  2018  Corte
costituzionale). 
    A tal riguardo, la  stessa  Corte  costituzionale  ha,  altresi',
precisato che l'art. 27-bis  cod.  ambiente,  costituisce  uno  degli
snodi fondamentali della riforma apportata dal decreto legislativo 16
giugno 2017, n. 104 (in attuazione  della  direttiva  2014/52/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che  modifica
la direttiva  2011/92/UE,  concernente  la  valutazione  dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli
articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n.  114,  che  costituisce
parametro normativo interposto  la  cui  osservanza  si  impone  alle
regione ai sensi dell'art. 117, comma  1  della  Costituzione);  tale
disposizione, infatti, rientra tra quelle «che - in attuazione  degli
obiettivi    [...]    di    «semplificazione,    armonizzazione     e
razionalizzazione  delle  procedure   di   valutazione   di   impatto
ambientate» e di «rafforzamento della  qualita'  della  procedura  di
valutazione di  impatto  ambientale»  -  determinano  un  tendenziale
allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali,  assegnando
allo Stato l'apprezzamento dell'impatto  sulla  tutela  dell'ambiente
dei progetti  reputati  piu'  significativi  e,  cosi',  evitando  la
polverizzazione   e    differenziazione    delle    competenze    che
caratterizzava il previgente sistema». L'unitarieta' e  l'allocazione
in capo allo Stato delle procedure relative  a  progetti  di  maggior
impatto  ambientale  ha  risposto,  pertanto,  «ad  una  esigenza  di
razionalizzazione e standardizzazione funzionale all'incremento della
qualita' della  risposta  ai  diversi  interessi  coinvolti,  con  il
correlato obiettivo di realizzare un elevato  livello  di  protezione
del bene ambientale» (sentenze n. 93 del 2019 e n. 198 del 2018).  Il
rispetto delle suesposte finalita' costituisce anche espressione  del
principio di  buon  andamento  dell'azione  amministrativa  derivante
dall'art. 97 della Costituzione. 
    Il legislatore statale ha dunque riservato a se  stesso,  in  via
esclusiva, la disciplina dei  procedimenti  di  verifica  ambientale,
definendo le modalita' attraverso le quali fissare un equilibrio  fra
gli interessi e i diversi valori coinvolti. 
    In particolare, come detto, la  disciplina  della  VIA  e'  mossa
dalla necessita'  di  affiancare  alla  tutela  ambientale  anche  la
semplificazione, razionalizzazione e velocizzazione dei  procedimenti
che sono espressione del buon andamento  dell'azione  amministrativa:
esigenze  che  sarebbero  frustrate  da  interventi  regionali   che,
incidendo  sul  relativo   procedimento,   finiscano   per   incidere
significativamente sul relativo portato, in aperta contraddizione con
le scelte del legislatore statale. 
    In siffatta cornice non e' casuale, a tale  riguardo,  che  anche
l'art. 7-bis, comma 8, del decreto legislativo n. 152 del  2006,  pur
riconoscendo  uno  spazio  di  intervento  alle  regioni  e  province
autonome, ne definisca  tuttavia  il  perimetro  d'azione  in  ambiti
specifici e puntualmente  precisati.  Gli  enti  regionali,  infatti,
possono   disciplinare,   «con   proprie    leggi    o    regolamenti
l'organizzazione  e  le  modalita'  di   esercizio   delle   funzioni
amministrative ad esse attribuite  in  materia  di  VIA»,  stabilendo
«regole  particolari  ed  ulteriori»  solo   e   soltanto   «per   la
semplificazione   dei   procedimenti,   per   le   modalita'    della
consultazione  del  pubblico  e  di   tutti   i   soggetti   pubblici
potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti  e
delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonche' per la
destinazione [...] dei  proventi  derivanti  dall'applicazione  delle
sanzioni amministrative pecuniarie» (sentenza n. 198 del 2018). 
    Fuori da  questi  ambiti  e'  dunque  preclusa  alle  regioni  la
possibilita'  di  incidere  sul  dettato  normativo  che  attiene  ai
procedimenti  di  verifica  ambientale  cosi'   come   definito   dal
legislatore nazionale. 
    Le   previsioni   regionali   anzidette,   nella   loro   attuale
formulazione, si pongono, dunque in contrasto con i parametri statali
interposti in  materia,  in  quanto  comportano  l'esercizio  di  una
potesta'   legislativa   travalicante    l'ambito    di    competenza
costituzionalmente assegnato alle regioni. 
    L'art.  4  della  legge  regionale  e'  dunque  illegittimo   per
violazione degli articoli 97, 117, secondo comma,  lettera  s)  della
Costituzione, in riferimento ai dianzi evidenziati parametri  statali
interposti. 
        5)  Il  medesimo  art.  4,  prevede  che  il  progetto  venga
presentato alla struttura  della  giunta  regionale  territorialmente
competente unitamente, ove previsto, alla istanza di  valutazione  di
impatto ambientale (VIA) «o ad ulteriori richieste di  autorizzazioni
previste dalla vigente normativa per la realizzazione di tali  opere»
(comma 1). Si prevede inoltre che la struttura della giunta regionale
territorialmente competente  esprima,  entro  sessanta  giorni  dalla
richiesta, un preventivo parere di ammissibilita' dell'opera, «previa
acquisizione delle necessarie valutazioni tecniche». 
    Il successivo art.  5,  in  tema  di  approvazione  del  progetto
esecutivo   e   autorizzazione,   demanda,   una    volta    ottenuta
l'ammissibilita' dell'opera ai  sensi  dell'art.  4,  alta  struttura
della giunta regionale competente in  materia  di  difesa  del  suolo
l'autorizzazione alla costruzione  dell'opera  e  l'approvazione  del
progetto, ivi compreso quello  per  il  ripristino  dello  stato  dei
luoghi a fine esercizio. 
    Ai sensi del comma 3 dell'art. 5 della legge regionale in  esame,
tale approvazione «non  esime  il  richiedente  dall'acquisizione  di
altre autorizzazioni o nullaosta, comunque  denominati,  previsti  da
ulteriori disposizioni di legge». 
    Appare evidente che tale disposizione  inverte  il  principio  di
necessaria  priorita'  temporale  dell'autorizzazione   paesaggistica
rispetto al titolo legittimante  l'intervento  urbanistico  edilizio,
stabilito dal legislatore statale al comma 4 dell'art. 146 del codice
di  settore,  in  base  al   quale   l'autorizzazione   paesaggistica
«costituisce atto autonomo e presupposto» per il valido  ed  efficace
rilascio del titolo edilizio. 
    Tale principio e'  peraltro  confermato  anche  dal  testo  unico
dell'edilizia, ove si  prevede  che  per  poter  eseguire  interventi
edilizi,  su  immobili  ricadenti  in  aree   sottoposte   a   tutela
paesaggistica    occorre    acquisire    il    preventivo    rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica (art.  22,  comma  6,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001).  Anche  di  recente  la
Corte costituzionale ha rilevato come l'art. 146, comma 4, del codice
di settore, stabilisce un «rapporto  di  necessaria  presupposizione»
tra  l'autorizzazione  paesaggistica   e   il   titolo   legittimante
l'intervento,  imponendo  che  quest'ultimo  «non  possa  avere   dei
contenuti  che   non   risultino   gia'   previsti   e   disciplinati
nell'autorizzazione   paesistica»,   annullando   una    disposizione
regionale  che  introduceva   «margini   di   flessibilita'»   (Corte
costituzionale sentenza n. 210 del 2016). 
    L'autorizzazione  paesaggistica  deve  necessariamente  precedere
l'approvazione del progetto, ai sensi dell'art.  146,  comma  4,  del
Codice dei beni culturali e del paesaggio. Considerazioni analoghe  a
quelle esposte al punto 2 valgono anche per il progetto di ripristino
dello stato dei luoghi in  caso  di  cessazione  dell'utilizzo  delle
opere a seguito di rinuncia, decadenza  o  revoca  della  concessione
della derivazione d'acqua, di cui all'art. 9 della legge regionale in
esame, atteso il richiamo, contenuto nel comma 2, per la  verifica  e
l'approvazione del progetto medesimo alle «procedure di cui  all'art.
5». La modifica dell'art. 5 nel senso auspicato, stante  il  predetto
rinvio, consentirebbe di sanare anche le censure relative all'art. 9. 
    La violazione delle citate norme statali di riferimento,  che  si
pongono come norme interposte, comporta la violazione dell'art.  117,
secondo  comma,  lettera  s),  sotto  il  profilo  della  tutela  del
paesaggio, e terzo comma della Costituzione in ordine al governo  del
territorio. Considerazioni  analoghe  valgono  anche  per  l'art.  9,
considerato il richiamo in  esso  contenuto  alle  procedure  di  cui
all'art. 5. 
        6) L'art. 5, comma 3, prevede che l'approvazione del progetto
esecutivo da parte della struttura  regionale,  «tiene  integralmente
luogo agli adempimenti tecnici ed amministrativi di cui alla legge  5
novembre 1971, n. 1086 recante «Norme per la disciplina  delle  spese
di conglomerato cementizio armato normale e precompresso a  struttura
metallica». 
    Poiche', ai sensi dell'art. 7 della legge n.  1086/71,  tutte  le
opere devono essere sottoposte a collaudo  statico,  la  disposizione
regionale in esame  confligge  con  l'obbligo  del  collaudo  statico
previsto dalla Normativa tecnica nazionale. La  previsione  regionale
prescinde dal decreto ministeriale  del  Ministero  infrastrutture  e
trasporti 26 giugno 2014 recante «Norme tecniche per la progettazione
e la costruzione di sbarramenti di ritenuta quali dighe  e  traverse»
che  costituisce  normativa  tecnica  nazionale  vincolante  per   il
collaudo statico e che, in relazione alla sua dichiarata funzione  di
protezione civile, rientra nella materia - funzione di  cui  all'art.
117,  secondo  comma,  lettera  s)  della  Costituzione  e  comunque,
costituisce legislazione di principio in tema di protezione civile  e
governo del territorio ai sensi  dell'art.  117,  terzo  comma  della
Costituzione. 
        7) Il titolo IV della legge  regionale  disciplina  le  opere
esistenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  stessa   legge
regionale, introduce una sorta di «sanatoria»  delle  opere  che,  in
esercizio alla data di entrata in vigore della legge, non siano state
denunciate ovvero siano state realizzate in difformita' dai  progetti
approvati. Il comma 1 dell'art. 11 dispone che i  progetti  esecutivi
di dette opere, completi dello stato di  fatto  e  comprensivo  della
certificazione  di  idoneita'  statica,  che  i   proponenti   devono
presentare  ai  fini  della  regolarizzazione  delle   stesse,   sono
«approvati e realizzati secondo la procedura di cui ai  titoli  II  e
III, fatte salve, comunque,  le  autorizzazioni  comunali  in  ordine
all'ammissibilita' delle opere». 
    Tale procedura si pone in contrasto con l'art. 167 del Codice dei
beni culturali e del paesaggio, che dispone il  generale  divieto  di
sanatoria per gli interventi non autorizzati su  beni  paesaggistici,
salvi i (imitatissimi casi in  cui  e'  possibile  l'accertamento  di
compatibilita' paesaggistica ex post ai sensi del comma  4,  peraltro
riferibili a fattispecie edilizie in senso stretto. In tali casi,  da
ritenere eccezionali, il codice di settore,  con  il  comma  5  detto
stesso   art.   167,   richiede,   ai   fini   dell'accertamento   di
compatibilita'  paesaggistica,  il  previo  parere  vincolante  della
soprintendenza. 
    La  Corte  costituzionale  ha  gia'  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale di norme regionali in contrasto con la  normativa  del
Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  secondo  la   quale
l'autorita' competente si pronuncia «previo parere  vincolante  della
soprintendenza», per violazione, oltre che della  potesta'  esclusiva
dello Stato in materia di tutela del paesaggio,  ai  sensi  dell'art.
117 secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione,  anche  degli
standard  minimi  di  tutela  del  paesaggio  valevoli  su  tutto  il
territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
m, della Costituzione (sentenza n. 238 del 2013). 
        8)  La  norma  sanzionatoria  contenuta  nell'art.   12   non
considera  che  le  condotte  sanzionate  potrebbero  integrare,   in
presenza degli elementi costitutivi  previsti  dalla  legge  statale,
anche fattispecie  penalmente  rilevanti  ovvero  reati  edilizi  e/o
ambientali. In tal caso opererebbe il disposto dell'art. 9, comma  2,
della legge 24 novembre 1981, n. 689 secondo cui  quando  uno  stesso
fatto e' punito da una disposizione  penale  e  da  una  disposizione
regionale o delle Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  che
preveda una sanzione amministrativa,  si  applica  in  ogni  caso  la
disposizione penale, salvo che quest'ultima sia applicabile  solo  in
mancanza  di  altre  disposizioni  penali.  La  disposizione   appare
riconoscere  alla  condotta  da   sanzionare   una   sola   rilevanza
amministrativa, in contrasto con il  principio  della  prevedibilita'
della sanzione irrogabile e quindi  in  violazione  della  competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento penale  di  cui  all'art.
117, comma 2, lettera l) della Costituzione.